Sandro Pertini e la bandiera italiana

a cura di Stefano Caretti e Maurizio Degl'Innocenti

 Copertinasandro pertini e la bandiera italiana

“Lotto per la libertà perché senza di essa non sono nessuno, perché ho dovuto riconquistarla dopo una lunga e dura lotta. Per me la libertà è cosa più preziosa, qualcosa che non si può alienare. Ho gettato tutta la mia giovinezza sul fuoco della lotta per la sua conquista, e se a me, socialista, mi dovessero offrire le più radicali riforme sociali al prezzo della libertà, rifiuterei, perché la libertà non può essere merce di scambio. E, nonostante tutto, che dono fragile è la libertà; si dissolve immediatamente se le viene a mancare il suo ingrediente naturale, la giustizia sociale. Questo è il campo dove si conquista la liberà, ed è lì che bisogna difenderla contro chiunque la minacci con la violenza; davanti a quella violenza non si può cedere”.

Così si esprimeva Sandro Pertini all’indomani della sua elezione a Capo dello Stato, il 9 luglio 1978. Questo suo pensiero ha guidato tutta la sua vita di politico antifascista, di padre costituente, parlamentare, Presidente della Camera dei Deputati e, infine, come Presidente della Repubblica. Il libro “Sandro Pertini e la bandiera italiana” è una raccolta di articoli di giornale, italiani, europei ed extraeuropei, sulle visite del socialista ligure nei vari Paesi del mondo. E in tutto il mondo Pertini ha portato la sua idea di libertà, socialismo e giustizia sociale. Da Capo di Stato, Pertini proiettò la lotta per la difesa dei diritti civili e umani a livello internazionale, amando ripetere di essere orgogliosamente italiano ma di sentirsi anche e soprattutto cittadino del mondo. Travalicando talvolta i limiti imposti dal rigido protocollo diplomatico, si pronunciò duramente contro l’apartheid nell’Africa australe o le repressioni messe in atto dalle dittature sudamericane, o l’intervento sovietico in Afghanistan. Nessun capo di Stato o uomo politico italiano ha conosciuto all’estero una popolarità paragonabile, e ciò nelle sedi più diverse. All’arrivo negli aeroporti, dove attenderlo oltre alle autorità politiche e militari del Paese ospitante, circondando la propria bandiera, Pertini andava dritto a baciare il vessillo di quello Stato. Il settimo Presidente della Repubblica Italiana ha introdotto il rito del “bacia bandiera”. Un gesto semplice ma dal chiaro significato: il rispetto delle istituzioni di quel Paese e il sentimento di vicinanza a tutto quel popolo, nessuno escluso. Il tricolore italiano, presente a ogni cerimonia, diventava implicitamente simbolo, incarnato dal Presidente, di un abbraccio fraterno a tutti i popoli della terra. In ogni suo discorso, Pertini sottolineava che sì, si sentiva cittadino italiano, ma anche cittadino del mondo. Questo pensiero non l’accompagnò solamente durante il suo settennato, per ricevere applausi e consenso. Tale sentimento di amore e fraternità verso tutta l’umanità provenivano da molto lontano. Sandro Pertini non ammetteva, fin dalla sua giovane età, contrasto tra Socialismo e Patria, intesa come insieme di valori condivisi e radicati storicamente, nella fattispecie nell’epopea risorgimentale, e come espressione più alta dell’identità comunitaria alla cui base poneva la famiglia stessa. Con forza e coerenza, egli ne respingeva l’uso strumentale in senso nazionalistico e colonialistico. Tale posizione sostenne con coraggio il 12 febbraio 1925 di fronte al Comandante del Distretto militare di Savona, che sollevava appunto il problema dell’inconciliabilità tra lo status di ufficiale di complemento in congedo e quella fede politica, asserendo che era un errore insegnare agli uomini ad amare solo la propria Patria, perché era necessario educarli a un amore più alto, “a quello dell’umanità”. Una sintonia che potremmo definire tra “culto autentico della Patria” e “internazionalismo socialista”, ritenendoli entrambi fondati sul presupposto del rispetto e dell’apprezzamento delle patrie altrui. Ecco, dunque, un altro esempio della coerenza di pensiero tra il Sandro socialista e il Sandro Presidente della Repubblica.

Manuele Franzoso